I datori di lavoro che occupano dipendenti a tempo indeterminato, ai sensi della Legge 92/2019, sono tenuti al pagamento di un contributo per ogni interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, danno diritto alla NASpI. In particolare, la somma dovuta dal datore di lavoro a tale titolo è pari al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi 3 anni.
Quando è dovuto
Il contributo in argomento è dovuto dai datori di lavoro nelle seguenti ipotesi di interruzione del rapporto
lavorativo:
• licenziamento per crisi d’impresa;
• licenziamento per giusta causa;
• licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo;
• licenziamento del lavoratore con contratto a chiamata;
• licenziamento collettivo, in assenza di un accordo sindacale;
• mancata trasformazione del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato;
• dimissioni per giusta causa;
• dimissioni della dipendente in maternità;
• risoluzione consensuale con conciliazione obbligatoria effettuata presso la Direzione territoriale
del lavoro.
Quando non è dovuto
Restano, viceversa, escluse dall’obbligo contributivo in argomento le cessazioni del rapporto di
lavoro avvenute a seguito di:
• dimissioni (ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato
di maternità);
• risoluzioni consensuali, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione
presso la D.T.L. nonché da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda
distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore eo mediamente raggiungibile in 80
minuti o più con i mezzi pubblici;
• licenziamenti conseguenti a cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso
altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità
occupazionale prevista dai CCNL ed interruzione di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento dell’attività e chiusura
del cantiere;
• decesso del lavoratore;
• interruzioni di rapporti di lavoro per intervenuta scadenza del contratto a tempo
determinato;
• licenziamenti di collaboratori domestici, di operai agricoli o di operai extracomunitari
stagionali.
Contributo per licenziamento individuale
Come anticipato in premessa, in base alla Legge 92/2012, il contributo dovuto in caso di licenziamento individuale è pari al 41% del massimale NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi 3 anni.
Tenuto conto che la disciplina è rimasta invariata e che il massimale NASpI 2019 è pari a 1.221,44 euro, in caso di licenziamento, il datore di lavoro è tenuto a versare la somma di 500,79 euro (41% di 1.221,44 euro) per ogni anno di anzianità lavorativa a titolo di ticket licenziamento. Pertanto nell’ipotesi di licenziamento di lavoratore con anzianità lavorativa pari o superiore a 3 anni l’importo da versare è pari a 1.502,37 euro (500,79 euro x 3). Detto importo è quello massimo dovuto. Pertanto, anche se gli anni di anzianità lavorativa sono più di 3 (ad esempio 4, 7 o anche 20), la somma da versare sarà la medesima, ovvero 1.502,37 euro. La Legge di Bilancio 2018 (n. 205/2017) ha introdotto modifiche alla disciplina del contributo dovuto per le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nei casi di licenziamenti effettuati nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo. In particolare, l’articolo 1, comma 137, della richiamata Legge 205/2017 ha disposto che: “A decorrere dal 1º gennaio 2018, per ciascun licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, l’aliquota percentuale di cui all’articolo 2, comma 31, della legge 28 giugno 2012, n. 92, è innalzata all’82 per cento. Sono fatti salvi i licenziamenti effettuati a seguito di procedure di licenziamento collettivo avviate, ai sensi dell’articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, entro il 20 ottobre 2017”. Tale disposizione, in sostanza, ha raddoppiato il contributo dovuto ex articolo 2, comma 31, della Legge n. 92/2012, a carico dei datori di lavoro tenuti al finanziamento della CIGS che licenziano dipendenti a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo avvenuta a far data dal 1° gennaio 2018. Tanto premesso, l’importo da corrispondere risulta così determinato: • 1.001,58 euro (82% di 1.221,44 euro) per ogni licenziamento riguardante dipendenti con 12 mesi di anzianità lavorativa; • 3.004,74 euro (1.221,44 euro x 3) nel caso l’anzianità lavorativa del dipendente licenziato sia pari o superiore a 36 mesi.
Modalità e termini di versamento
Nella Circolare n. 44/2013, l’Inps – in mancanza di indicazioni da parte della legge che lo ha introdotto – precisa che l’obbligo contributivo deve essere assolto, tramite modello F24, entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro. A tale conclusione l’Istituto è giunto grazie ad un intesa con il Ministero del Lavoro. Così, ad esempio, per un licenziamento avvenuto in data 11 gennaio 2019, il versamento del contributo in oggetto deve essere effettuato entro i termini previsti per la denuncia contributiva del mese di febbraio 2019, vale a dire entro il 18 marzo 2019 (il 16 cade di sabato). Si ricorda, infine, che il versamento deve avvenire in un’unica soluzione. Non è, infatti, prevista la possibilità di rateizzazione.